Ho iniziato la mia carriera professionale come fotoreporter. La collaborazione con i media mi ha permesso di esplorare il territorio del Nordest e le sue dinamiche sociali, di sviluppare la mia attitudine all’esplorazione dei fatti e alla ricerca di senso in ciò che accade.
Nel 2000 ho fondato Frontiere, una realtà che si occupa di valorizzazione del territorio e supporta imprese, istituzioni e terzo settore attraverso progetti di comunicazione strategica e marketing territoriale, favorendo l’emersione del genius loci e la costruzione di un buon campo relazionale.
Progressivamente la mia attenzione si è spostata sulla qualità di relazione tra le persone come elemento fondante per la riuscita di un progetto e il buon funzionamento di un sistema.
Dal 2011 ho affinato il mio focus professionale sullo sviluppo del potenziale delle persone e dei loro progetti attraverso diversi percorsi formativi tra cui una ricerca sulla governance dello sviluppo locale (Università di Padova), la scuola di counseling presso l’Accademia dell’Essere a Verona e il Practitioner FBU, un modello di coaching per le imprese di famiglia.
Oggi facilito percorsi di incontro e cambiamento in contesti sociali e organizzativi. Accompagno team, organizzazioni e reti a chiarire le proprie motivazioni, condividere la visione e definire il percorso per renderla concreta, costruire strumenti e pratiche di relazione collaborativa attraverso azioni di coaching, sviluppo organizzativo, comunicazione.
Il mio approccio integra sensibilità e competenze diverse, da consulente e counselor, a supporto delle dinamiche di gestione e della dimensione umana, per favorire la crescita di persone e progetti.
Sono esperta di pratiche di breathwork, camminatrice, gioco con il teatro, la fotografia e amo l’arte come espressione di umanità: anche questi sono strumenti che cerco di portare nel mio lavoro con le persone e le organizzazioni, come possibilità di ascolto, consapevolezza, integrazione.
Lavoro in contesti di innovazione sociale e credo che la più grande innovazione in atto sia il passaggio da io a noi, da competizione a collaborazione, da sfruttamento della risorsa a valorizzazione del patrimonio comune. Il bisogno di reciprocità sta emergendo con chiarezza in campo ambientale quanto nelle relazioni, ad ogni livello.
Considero l’impresa di famiglia un promotore naturale di questo cambiamento. La complessità data dalle diverse parti in gioco, la gestione del multiruolo e quindi di interessi e linguaggi differenti, la con-presenza esplicita di professionalità e densità emotiva, ne fa un laboratorio sociale in cui si amplifica l’importanza dell’allineamento tra valori e comportamenti e di conseguenza la correlazione tra risultati di business e armonia nelle relazioni.
In questi sistemi complessi è alto l’investimento personale e l’impatto che ha sul bene comune. Con FBU mi sono specializzata nel supporto a questo contesto, con un approccio che unisce coaching e consulenza strategica.
È stato un incontro di serendipity! Qualche anno fa, mentre stavo organizzando il mio passaggio professionale al mondo del coaching e della consulenza organizzativa, Luca Marcolin ha letteralmente bussato alla mia porta e risposto alle mie domande. Stavo cercando un collega con cui condividere un ufficio più grande delle mie esigenze e una persona con cui condividere la scelta di sostenere le persone nella loro realizzazione. Il suo modo appassionato e rigoroso insieme di prendersi cura delle persone nelle aziende di famiglia mi ha affascinato subito e nel tempo mi ha insegnato molto.
Per formazione e attitudine ho un approccio olistico, la mia esperienza professionale si è sviluppata in ambienti complessi e multidisciplinari: far emergere la consapevolezza di sistema è tra le mie priorità nell’impresa di famiglia. È una comprensione abilitante anche per rafforzare la consapevolezza di sé ed esprimere il proprio talento, una visione che contribuisce a costruire una prospettiva condivisa di benessere.
Questo approccio porta attenzione non solo alla leadership di un’organizzazione ma anche ai suoi margini, da cui spesso arrivano informazioni importanti, non allineate. In particolare nelle imprese familiari le persone e le situazioni non coinvolte direttamente in azienda influenzano il clima e hanno peso. È importante riconoscere l’interdipendenza con i ruoli di primo piano.
La mia esperienza professionale si è sviluppata progressivamente da attività legate alle relazioni con interlocutori esterni all’organizzazione (partner, clienti, fornitori, cittadini) a quelle interne all’organizzazione (soci, struttura, leader, team, gruppi di pari). Da questa prospettiva posso solo confermare Adizes, che quota 80 a 20 il marketing interno rispetto a quello esterno. Agire e comunicare in modo efficace fuori dall’azienda presuppone una buona comunicazione e qualità di relazione interna. La chiarezza sull’identità e sui valori aziendali, l’allineamento sugli aspetti organizzativi e di strategia si riversano direttamente sull’operato di ogni membro dell’impresa e quindi sulle migliaia di interazioni quotidiane che attiva, dentro e fuori dall’azienda.
La maggiore sfida e la maggiore virtù dell’impresa di famiglia coincidono: il riconoscimento coraggioso e delicato del significato della relazione, del legame affettivo, dei valori e della passione in contesto business. Le statistiche lo hanno già dimostrato. Le ricerche di Bocconi e Unioncamere del Veneto sul family business segnalano la loro resilienza, le maggiori performance rispetto alle aziende manageriali, la migliore reputazione per tutti gli stakeholder.
Prendersi cura della risorsa umana e della dimensione emotiva, così potenziante per il business quanto tutto funziona, significa anche sostenerla quotidianamente e prendersene cura quando crea criticità che ci piacerebbe staccare dal business per non intralciare i programmi dell’impresa. I momenti difficili di un’organizzazione sono sempre legati a momenti difficili delle persone e sono come le malattie per un organismo vivente: segnali che portano l’attenzione su qualcosa che non fluisce, piccole o grandi ferite. Per guarire, le ferite hanno bisogno di aria e sole, vanno portate allo scoperto, con chiarezza e delicatezza.
La presa di consapevolezza e la socializzazione del problema aiutano tutti a de-comprimere, a confrontarsi sui timori e le possibili soluzioni. Spesso una criticità taciuta, non espressa, assume dimensioni invadenti, diventando quello che viene chiamato “elefante nella stanza”: un oggetto ingombrante e imbarazzante che occupa spazio, tempo ed energia sottratti allo sviluppo del progetto.