Ricordati che undici anni di anzianità lavorativa non sono necessariamente undici anni di esperienza lavorativa.
Non so perché proprio undici, ma quella è la battuta che mi fece una volta un manager nella multinazionale in cui muovevo i primi passi. Era uno stimolo a non vivere passivamente il nostro percorso di formazione manageriale, a essere curiosi cercando sempre di imparare cose nuove. La regola è semplice: se si cambia troppo spesso lavoro non si consolidano esperienze, ma se si resta per troppo tempo nello stesso ruolo non si impara più nulla di nuovo.
Il giro di boa, con la chiusura di un anno e l’apertura di quello successivo, è sempre occasione di bilanci e di buoni propositi. Si tratta di un momento prezioso per guardarsi indietro e vedere cosa è successo nell’anno appena concluso, quali sono state le nuove esperienze, cosa si è imparato. A volte è stato qualcosa di pianificato e previsto, altre volte si sono dovute affrontare emergenze, spesso occasioni di apprendimento più preziose proprio perché meno prevedibili.
Spesso queste valutazioni le facciamo da soli, credendoci dentro a percorsi individuali. Ma non siamo isole: tutte le persone che ci stanno attorno non sono solo occasionali compagni di viaggio. Il nostro percorso si intreccia con il loro, i nostri desideri si devono integrare con i loro desideri. Viviamo in comunità familiari e aziendali che ci chiedono di trovare un punto di condivisione. Ne facciamo parte perché contribuiscono al nostro benessere, ma allo stesso tempo ci chiedono di impegnarci perché non siano solo strumentali ma anche costitutive.
Ecco perché il momento dei bilanci e dei propositi è meglio coltivarlo insieme, perché altrimenti il rischio è di costruire la nostra strada individuale, minando l’integrazione del gruppo.
Succede tra coniugi in famiglia: se non ci si dedica dei momenti per fare insieme il punto della situazione, si rischia di trovarsi in una situazione in cui le due vite non sono più in sincronia. Questo non significa che una persona non può avere obiettivi e progetti individuali, ma che ci si deve porre la domanda di come condividerli, di come fare in modo che il percorso di sviluppo e di esperienze di uno non allontani dall’altro. Fondamentali sono gli obiettivi condivisi, che fanno crescere insieme anno dopo anno.
Succede tra soci in azienda (familiari o no) quando gli obiettivi condivisi all’inizio non sono più gli stessi. Non si ha più la stessa determinazione a sacrificarsi o a rischiare, oppure non si riconosce all’altro gli stessi meriti e la stessa capacità di contribuire allo sviluppo dell’impresa. Essere soci non è un obbligo a vita, si possono fare scelte che ci portano a percorsi diversi. L’occasione di un bilancio di chiusura e la condivisione di propositi per il nuovo anno, ci può aiutare a rendere più chiare le aspettative reciproche.
Succede tra genitori e figli, in tutte le famiglie ma ancora di più in quelle che condividono il lavoro in azienda. A volte capita che le aspettative reciproche rendono inconciliabili i punti di vista e dolorose le rotture. Altre volte capita anche di imbattersi in ciò che chiamiamo “cristallizzazione”, ovvero il rischio di mantenere lo status quo fino a quando l’età non lo permette più, senza aver maturato l’esperienza necessaria per passare efficacemente il testimone.
Ecco perché la raccomandazione è sempre quella di prendersi del tempo per una riflessione da soli e per un confronto con le persone con cui stiamo camminando nella dimensione familiare e professionale. Lo scopo è valutare cosa è cambiato nell’anno trascorso e cosa vogliamo che cambi nell’anno che verrà, confermando gli obiettivi e la direzione da tenere.
Operativamente è molto semplice: basta chiedere un appuntamento alle persone con cui condividiamo il nostro percorso di vita, spiegare loro lo scopo dell’incontro e suggerire una lista di punti che vorremmo condividere.
Di sicuro ci vuole un po’ di coraggio. A volte proprio con le persone più care facciamo fatica ad esprimere quello che veramente vogliamo per la paura di un rifiuto o del conflitto. Ci vuole anche un ambiente sicuro, che permetta alle persone coinvolte di mettersi in gioco e di essere disposte ad un ascolto accogliente.
E come per ogni cosa la sfida è cominciare per tempo, in modo da costruire un’abitudine e una capacità di confronto prima che nascano i problemi.