Queste le parole di un’imprenditrice che, con l’aiuto dei familiari e di qualche collaboratore, ha aperto una nuova attività. Ogni volta che ho a che fare con gli imprenditori sento un’energia particolare; sento che hanno una sorta di spirito animale che non si può comprende se lo si misura con la razionalità economica. Queste persone hanno deciso di fare impresa per passione, per la voglia di realizzare qualcosa di proprio. Per il proprio sogno si è disposti a rischiare, a mettersi in gioco e a pagare il conto se le cose non vanno.
Una volta avviata l’attività, il suo successo è frutto dello spirito di sacrificio e della capacità di adattarsi ai tanti ostacoli. Forse è questo il motivo per cui gli imprenditori sono particolarmente autentici: non possono permettersi di rimanere bloccati nelle loro posizioni, sono sempre spinti a trovare una strada per realizzare il loro progetto. Se non lo facessero, sarebbero solo dei sognatori. La loro autenticità è legata alla volontà e al desiderio di ottenere qualcosa di più: non si adeguano allo status quo, mal sopportano i vincoli e gli obblighi.
Questa autenticità, però, rischia di diventare il limite stesso alla crescita della loro persona, della loro famiglia e della loro impresa, se non sanno crescere con essa e con le persone che ne fanno parte. Quella che è stata la molla per il successo può diventare il motivo principale che li fa cadere nella trappola del fondatore, limitando la crescita e impedendo la continuità della loro impresa, trascinandola con loro nel declino che necessariamente prima o poi tocca a tutti. Ma c’è una via d’uscita, anzi due: la crescita professionale e la crescita relazionale.
La strada della professionalizzazione è quella della strutturazione, dell’integrazione della flessibilità imprenditoriale con il controllo manageriale. Per percorrere questa strada l’imprenditore spesso assume dei manager esterni ma, se lui per primo non si mette in gioco, il rischio è che vadano in crisi i rapporti con il manager. Spesso in queste situazioni il manager se ne va dopo poco oppure che si adegua all’imprenditore, sacrificando il motivo per cui era stato assunto.
La strada della della crescita relazionale è la strada della crescita umana, della capacità dell’imprenditore di non bloccare la sua creatura per coltivare il suo ego. Crescere un’organizzazione significa dover contare sugli altri per realizzare qualcosa di più grande di quello che si è in grado di fare da soli. Ma lavorare con gli altri vuol dire diventare capaci di gestire persone prima ancora che mettere in gioco conoscenze o abilità tecniche. Un’evoluzione che non è per tutti.
Per affrontare queste sfide può essere utile avere un approccio a 360 gradi, come propongono i 4 quadranti del Modello FBU: persone, organizzazione, scopo e numeri. Approfondiremo questo modello di intervento il 6 dicembre a Treviso nel nostro seminario “Crescere Insieme”: una giornata per riflettere sulla bellissima sfida di essere imprenditori.