Non parliamo di posti nell’organigramma o di poltrone in CdA. Non parliamo di compra-vendita di quote societarie e nemmeno di competenze tecniche che fanno marciare l’azienda. Quando parliamo di passaggio generazionale stiamo parlando della disponibilità umana ad affrontare un cambiamento importante, potremmo dire epocale.
Gestire un cambiamento, anche se piccolo, non è facile. Proviamo a ricordare quando ci è capitato di modificare le nostre abitudini quotidiane. Se ci sembra impegnativo passare dallo zucchero raffinato a quello di canna, dormire con le persiane alzate invece che abbassate, cambiare giorno in cui fare la spesa, è facile comprendere come gestire il passaggio generazionale possa essere una “bella” sfida.
Stiamo parlando di un passaggio di ruolo che implica un cambiamento radicale. In primis nell’ambiente in cui i protagonisti si muovono quotidianamente: un senior che esce dal sistema impresa o cede il posto per occuparsi di altro, può sentirsi davvero come un pesce fuor d’acqua, così come un junior che non abbia sperimentato adeguatamente il contesto in cui entra.
Cambiano profondamente i comportamenti quotidiani: senior e junior si alternano in posizione di guida e di supporto. Molto diverse sono quindi le competenze da mettere in campo. Al senior è chiesto (spesso per la prima volta) di lasciare uno spazio vuoto, di farsi da parte, di ascoltare, di aspettare invece che anticipare, di sostenere invece che trainare l’intero sistema. Mentre alla figura junior è chiesto di trovare il coraggio e la determinazione di mettere in gioco le qualità che gli appartengono, spesso diverse (magari opposte) da quelle del suo predecessore.
Per cambiare il nostro comportamento abbiamo bisogno di partire da un diverso punto di vista, da una nuova motivazione. Nel passaggio generazionale ci confrontiamo con i valori che guidano la nostra esistenza, con la nostra identità, con chi siamo oggi e chi vogliamo essere domani. Ci confrontiamo con le nostre emozioni.
Se per tutta la vita siamo stati il capitano della nave, se abbiamo ottenuto riconoscimento e alleanza per il nostro coraggio, per la nostra intuizione, per la nostra forza e responsabilità, sentiamo il grande pericolo di perdere il controllo, di perdere la leadership, il potere, il senso di utilità, forse anche l’affetto, l’amore di chi ci circonda, al lavoro e in famiglia. Un cambiamento che per i senior può arrivare anche in un momento anagrafico delicato, in cui si inizia a fare i conti con nuove fragilità legate all’età.
Se, al contrario, fino ad oggi abbiamo camminato sul sentiero battuto dal capofila, se siamo confermati e protetti all’ombra di un grande albero, può esser arduo uscire allo scoperto e agli imprevisti del cielo, con il rischio di scottarci al sole e di bagnarci alla pioggia. Questa è la sfida dei junior: occupare il proprio posto in azienda e nella vita, fare i conti con la propria insicurezza, le proprie aspettative e il proprio talento.
Altre volte capita l’inverso. Il giovane imprenditore scalpita, ha desiderio, coraggio, impeto. Ha un’idea e ha fretta di realizzarla. Se trova ad aspettarlo un leader stanco che a sua volta ha fretta di andare, il rischio è di perdere un capitale di competenze e di fiducia, interna ed esterna.
Cambiare significa esporsi alla paura di fallire e di non essere riconosciuti (accettati, sostenuti, apprezzati, amati) dagli altri e da noi stessi, sia che vinciamo o che perdiamo. Il timore che sentiamo può farci rimanere ancorati al passato, alla protezione e quindi al controllo e all’immobilità oppure può scatenare rabbia, ostilità, conflitto che sembra lasciar aperta solo la strada di “disfare” l’ordine costituito per raggiungere il futuro. Questa situazione crea inevitabilmente sofferenza: siamo esseri relazionali votati all’evoluzione, immobilità e conflitto stringono, ci portano verso l’angolo dell’insoddisfazione e della solitudine.
La citazione è dal poema induista Mahabharata. Vincere, infatti, prevede che qualcuno perda e se questo qualcuno è parte della nostra famiglia, sarà difficile anche vincere. Non serve che il conflitto sia aperto, dichiarato, urlante. Un conflitto silente, in cui regna la compostezza formale, può essere più insidioso.
I cambiamenti vissuti bene ci accompagnano alla ricerca di nuovi equilibri, non solo per i diretti interessati all’avvicendamento, anche coinvolgendo chi li guarda da posizioni più esterne, familiari e collaboratori, clienti, partner, fornitori, con cui progressivamente si potranno instaurare nuove modalità di relazione che possono coltivare e consolidare il cambiamento. Il passaggio generazionale è un processo di sistema, a cui tutti contribuiscono. Esserne consapevoli aiuta.
Il cambiamento avviene senza fatica solo quando siamo pronti, quando lo accogliamo, lo assecondiamo, ne facciamo un’occasione di crescita. Siamo pronti quando il nostro agire ha un senso per noi e porta valore anche al sistema di cui facciamo parte, ovvero quando abbiamo uno scopo. Allora tutto fluisce, semplicemente perché sappiamo cogliere le opportunità che arrivano con il cambiamento invece che lottarci contro, perché rispondiamo al grande bisogno di ognuno di contribuire al bene comune.
La prima cosa da fare è stimolare un dialogo intorno alla tematica: parlarne apertamente, socializzare l’argomento, non trattarlo come un tabù. Ecco qualche consiglio su come attivarsi per il cambiamento.
Riconoscere un problema (o un’opportunità) è metà della soluzione. Prima di fare le scelte tecniche, prima di scegliere quante quote, a chi e con quale accordo legale, c’è bisogno di chiarirsi tra persone. Di uscire dal mito della perfezione, del come si dovrebbe fare, dell’analisi oggettiva e comprendere cosa è in gioco per le persone e quali sono le risorse disponibili.
Possiamo iniziare ad ascoltare – ancor prima di parlarne – da una prospettiva interna, quella del nostro stato d’animo, delle paure e dei desideri che nell’impresa di famiglia sono amplificati da un alto tasso di densità emotiva: qui si concentrano i nostri interessi e i nostri legami più intensi, le nostre maggiori soddisfazioni e le delusioni più cocenti. Leggere le nostre emozioni, accettare qualche fragilità, esserne consapevoli ed esprimerle, ci permette quindi di agire per trovare risposte e soluzioni molto più facilmente di quando non comprendiamo il “tormento” che ci attanaglia e re-agiamo impulsivamente a ciò che succede, in noi e nella realtà.
Possiamo analizzare un po’ di dati, capire cosa succede fuori da casa nostra, ascoltare le testimonianze di chi ha già percorso questo tratto di strada per confrontarci e riflettere sulle modalità più adatte a noi, facendoci ispirare.
Possiamo creare momenti dedicati al confronto, fuori dalla contingenza. Momenti protetti dalle emergenze, dal giudizio, dal timore di perdere tempo. Spazi in cui vengono sostenuti l’impegno indispensabile al cambiamento e la possibilità di mettersi in gioco. Questo è il compito della facilitazione in azienda: mantenere alta l’attenzione sul processo di cambiamento, riservare tempi e proporre modi utili a creare un clima relazionale adatto al confronto, a rompere qualche abitudine, a far emergere criticità e risorse, per favorire la nascita di soluzioni dall’interno del sistema.
Possiamo cercare di integrare passato e futuro: co-creare. Vendere o comprare un’idea non è sufficiente a cambiare le cose. Quello che conta è costruire insieme un percorso convincente per entrambi – senior e junior – in modo da coinvolgere, progressivamente i familiari e i collaboratori per sostenere un’evoluzione sistemica. L’obiettivo è valorizzare il patrimonio aziendale, fatto di beni materiali e di esperienza, di persone e di riferimenti valoriali e professionali, di sacrifici e di vittorie, considerarlo un’eredità da cui iniziare a immaginare una nuova prospettiva, come persone e come parte dell’organismo impresa. Ascoltare il futuro che emerge e cercare di comprendere che innovazione e direzione porta in azienda e nella vita, intravedere la prospettiva di sviluppo e il ruolo che possiamo giocare nel nuovo ciclo, senza pregiudizio e aperti alla possibilità di dare continuità all’impresa o di trovare soluzioni alternative.
Possiamo provare a passare da io a noi. Invece che guardarci da posizioni contrapposte o abitare isole, possiamo scegliere di costruire un contesto in cui sperimentare nuove modalità di relazione, in cui “allenarci” a cambiare posizione, dentro e fuori. Uno spazio in cui senior e junior comprendono e costruiscono il valore dell’avvicendamento, sperimentano cosa significa cedere il passo e camminare in testa alla fila.
E infine provare. Iniziare a fare e imparare il nuovo ruolo, sperimentandolo sul campo. Costruire un progetto che ci avvicini alla nostra meta desiderata. Avere il coraggio di mantenerlo quando ci chiederà molto e avere il coraggio di cambiarlo per migliorarlo. Un passo alla volta. Perché il passaggio generazionale è un processo – spesso molto lungo – in cui si costruiscono le condizioni per gestire bene un momento di cambiamento importante.
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Noi di FBU abbiamo predisposto uno strumento gratuito “Passaggio di Testimone”, che aiuta a confrontarsi in famiglia sulla delicata questione del passaggio generazionale. Lo puoi trovare scaricando il kit di strumenti per la famiglia.
Se vuoi confrontarti con noi sul tema e capire come possiamo aiutarti, mandaci un’email a info@familybusinessunit.it: possiamo fissare un appuntamento gratuito per parlarne.