di Erika Brentegani
Se spieghiamo alle persone cos’è davvero lo smart working, possiamo creare un modello organizzativo vincente e sostenibile per il futuro.
Nelle ultime settimane ne ho sentite davvero di tutti i colori in merito all’organizzazione del lavoro da casa, così detto “smart working”. C’è chi utilizza il proprio pc (esponendosi a problemi di sicurezza enormi), chi ha dovuto comprarselo appositamente per continuare a lavorare e non essere messo in ferie, chi deve tenere la connettività sempre aperta per essere controllato dai superiori…
Chi fino a qualche settimana fa non aveva mai preso in considerazione un modello organizzativo che prevedesse anche solo qualche giorno al mese di lavoro a distanza, si è trovato nel caos più totale.
Le persone erano abituate ad avere un pc fisso, una postazione di lavoro fissa, orari più o meno rigidi, riunioni fiume, confronti de visu sempre possibili, strumenti fissi e non spostabili, tonnellate di carta stampata, sistemi informativi hardware e software a volte lenti e poco funzionali. Insomma, il lavoro era focalizzato su un luogo fisso, orario rigidi, abitudini basate su “si fa così perché abbiamo sempre fatto così” e “ti devo vedere così ti controllo e verifico che tu stia lavorando”.
Sto estremizzando il concetto, ma forse non così tanto. Alcune aziende lavorano ancora così. Ops… lavoravano così. Perché nell’ultimo mese qualcosa ha dovuto necessariamente cambiare.
La risposta molto spesso è: non c’è un modello organizzativo, semplicemente le persone ora lavorano da casa. Se in un primo momento, per affrontare l’emergenza, questo poteva andare bene, con l’allungamento dei tempi e un’organizzazione del lavoro destinata a cambiare per sempre, forse è arrivato il momento di riprendere in mano la definizione di smart working (quella vera) e iniziare a identificarla come un obiettivo da raggiungere.
“Lo smart working è uno strumento manageriale e un nuovo modello di organizzazione del lavoro fondato sulla restituzione alle persone di flessibilità ed autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti, da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”
– definizione dell’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano
Lo smart working è quindi un modello organizzativo che prevede prima di tutto un cambiamento culturale. Niente potrebbe essere più in linea con ciò che sta succedendo ora. Siamo di fronte a un cambiamento epocale e più si allungano i tempi, più ce ne rendiamo conto.
Non possiamo sapere esattamente cosa accadrà dopo, in quale situazione economica e finanziaria verserà il nostro Paese. Si possono fare delle ipotesi, alcuni studi hanno ipotizzato scenari futuri, ma su quello, come cittadini e anche come imprenditori, non possiamo agire molto. Almeno non singolarmente.
Sull’introduzione di un nuovo modello culturale nella nostra azienda, invece, possiamo intervenire. Non si fa dall’oggi al domani, serve tempo e ora tutti noi ne abbiamo un po’ di più.
Immaginiamo di essere alla vigilia di Pasqua del 2021. Se guardassimo ad un anno prima, al 10 aprile 2020, quale vorremmo fosse il percorso che abbiamo costruito? Di cosa vorremmo essere fieri? Che tipo di organizzazione vorremmo avere?
In questo momento gli scenari futuri spaventano e davanti alla paura il nostro sistema limbico, quello legato all’istinto di sopravvivenza, fa produrre in eccesso adrenalina e cortisolo, altera il nostro sistema immunitario, ci manda in tilt, ci fa perdere lucidità. La fa perdere all’imprenditore, al professionista, al lavoratore incastrato a casa tra quattro mura, davanti a un pc a cercare di produrre il più possibile per provare che il suo lavoro è importante e che l’azienda ha bisogno di lui.
Ma ci sono altri elementi che ci possono rendere più forti e più solidi, che generano buoni pensieri e ci fanno vedere le cose da altre prospettive. Sono le belle storie condivise, quelle vere, quelle che raccontano del “viaggio dell’eroe”, di chi viveva in un mondo in cui tutto sommato si stava bene, poi è successo qualcosa che ha cambiato tutto, ha stravolto la vita, per un attimo ha anche fatto perdere il senso della vita, la voglia di andare avanti… Ma poi ha ripreso coraggio ed è ripartito, è andato oltre e si è riscattato. Quasi mai le persone lo fanno da sole.
Ecco che entrano in campo le nostre aziende, piccole o grandi che siano. Esse sono comunità che possono darsi coraggio, condividere idee, buone pratiche, saperi, conoscenze, mettersi a disposizione per gli altri. Se lo fate già, continuate a farlo, organizzate meeting online focalizzati al lavoro, ma anche a un caffè e due chiacchiere, a un augurio di Buona Pasqua collettivo.
E poi iniziate a lavorare sulle persone: come stanno vivendo questo momento? Cosa sta emergendo del loro lavoro, adesso che quasi tutto il contorno è venuto a mancare e rimane solo l’operatività? Qual è il senso che danno alla propria attività? E ancora prima: ha per loro un senso? Si sentono ingaggiati? Sentono di contribuire davvero e di fare la differenza in azienda?
Operativamente si può fare molto per spostare l’organizzazione da un modello basato su “adempimento, controllo, presenza fisica” a un modello basato su “obiettivi, monitoraggio, risultati, feedback”. Ed è importante iniziare subito. Ma ricordiamoci che il primo passo sono il cambiamento culturale, l’engagement dei lavoratori, il senso di comunità e appartenenza, la condivisione di valori.
Questo primo passo va affrontato ora: bisogna agire subito per fare in modo che questo momento di “smart working” non venga associato a un periodo di reclusione forzata e non precluda l’introduzione di un modello organizzativo basato su autonomia, responsabilizzazione, ottenimento di risultati e sostenibilità per la vita delle persone e per il nostro pianeta. Perché anche quello non può davvero più aspettare!
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